Il cibo: un modo per esprimere l’amore

Vi presento un brano tratto dal libro di don Luigi Maria Epicoco: “La luce in fondo. Attraversare i passaggi difficili della vita” (Ed. Rizzoli).

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L’uomo mangia fondamentalmente per vivere. Il gesto di prendere del cibo è legato soprattutto alla funzione biologica della sopravvivenza. Eppure, intuiamo da subito che il semplice nutrirsi è cosa diversa dalla capacità di mangiare. L’uomo infatti ha intriso di relazionalità anche la funzione primaria e biologica della nutrizione come sopravvivenza. In questo senso, l’atto di mangiare non è mai un atto ingenuo, innocente, ha sempre al suo interno una motivazione altra. Esso è sempre il sintomo di un’interiorità. Questo è il motivo per cui a volte i disturbi alimentari non sono semplicemente riducibili a disfunzioni meccaniche della funzionalità del nostro corpo, ma sono invece il campanello d’allarme che ci racconta il groviglio complicato che ci portiamo dentro.

Mangiare troppo o non mangiare non sono mai semplicemente sintomi di patologie legate alla sola corporeità, sono invece sintomatologie legate alla nostra umanità – se per umanità intendiamo ciò che siamo andati dicendo, cioè l’unità profonda di anima e di corpo, di esperienza corporea ed esperienza interiore. Basta fare un po’ di zapping in TV o navigare un po’ su Internet per accorgersi come, negli ultimi anni, sia cresciuta potentemente l’attenzione e la cura per il cibo, per la cucina, per il grande tema del mangiare.

Assieme alla sessualità, il cibo è divenuto una fonte potente di espressione delle energie che abitano le regioni profonde del nostro inconscio. Si possono usare il cibo e il mangiare come modo e tentativo di controllare la vita e il mondo. Si possono usare il cibo e il mangiare come strumento sadico per farsi e fare del male. Si possono usare il cibo e il mangiare come modo per esprimere e comunicare l’amore. In questo senso, non dobbiamo mai dimenticare che la vera competenza che deve accompagnare l’arte del mangiare, la capacità di cucinare e di rapportarsi al cibo deve sempre richiedere una profonda consapevolezza interiore che inevitabilmente sfiora la spiritualità.

E’ interessante vedere come nei Vangeli ci siano molti banchetti, molti pranzi, molte cene. E’ interessante notare quante volte siano nominati dei particolari cibi, e quante volte Gesù usi l’immagine del cibo e del banchettare come modo efficace per raccontare una parabola. Se conveniamo tutti che i Vangeli sono testi intrisi di spiritualità, ecco che il loro ricorrere al cibo, alla tavola e al mangiare è chiara espressione della spiritualità dell’uomo. Non a caso, le più interessanti scoperte riguardo ad alcuni cibi, ad alcune bevande sono state fatte nei monasteri o in luoghi particolarmente religiosi.

Come sarebbe bello poter ridonare profondità al gesto del mangiare, come sarebbe rivoluzionario riempire l’interesse attuale nei confronti del cibo di una consapevolezza e di un richiamo ad un’interiorità che non coincide mai semplicemente con la correttezza della preparazione di una pietanza, ma con la consapevolezza umanizzante che in essa è nascosta.

N.B. Don Luigi Maria Epicoco, nato a Mesagne, in Puglia, nel 1980, è stato ordinato sacerdote a L’Aquila nel 2005. Insegna filosofia alla Pontificia Università Lateranense e all’ISSR “Fides et Ratio” a L’Aquila. Si dedica alla predicazione per la formazione di laici e religiosi e ha al suo attivo diversi volumi di carattere filosofico, teologico e spirituale.